Cosa ho fatto a Natale? Sono stata ad un matrimonio combinato in Medio Oriente.
Vi vedo, col naso storto, il dito alzato pronto a difendere i diritti delle spose bambine, delle donne sottomesse. Mettere matrimonio e Medio Oriente nella stessa frase evoca i peggio stereotipi sull’Islam repressivo, immagini di donne velate che non hanno mai visto lo sposo trent’anni più grande, rapporti forzati. Niente a che vedere con l’esperienza a cui ho avuto modo di partecipare in Bahrain: vi basti pensare che la sposa indossava un saari con la pancia scoperta, e che non ho visto nessuna donna locale portare il velo.
Uno dei vantaggi della vita expat è quello di essere costantemente confrontati con la differenza tra l’immagine del mondo che ci siamo fatti crescendo e la realtà di vita di popolazioni straniere. Spero quindi di portare un po’ di luce su quello che si intende al giorno d’oggi con matrimonio combinato in questa parte del mondo.
Per molti occidentali, il Bahrein è difficile anche solo da collocare sulla cartina geografica. Per le mie impressioni sulla città, sulla cultura e su cosa vedere vi rimando al mio post racconto sulla vita in Bahrain.
Qui ci immergiamo nella racconto dettagliato del matrimonio bahrainiano: la cerimonia, i vestiti e i dettagli delle sei funzioni a cui ho partecipato. Inclusi gli stralci di conversazione con la sposa sul perché ha scelto un matrimonio combinato.
Il Bahrain e un Paese musulmano con una forte influenza indiana. Molti cittadini hanno origini indiane o Kashmiri, una regione che, come il Kurdistan, ha una forte identità culturale pur essendo divisa amministrativamente tra più Stati. Il risultato è un interessante mix tra tradizioni arabe e tradizioni del subcontinente indiano, il che si riflette fortemente nello stile dei matrimoni: pochissimi hijab, qualche velo colorato posato delicatamente sui capelli, saari sontuosi e shalwar kameez decoratissimi come outfit, danze spensierate da parte di ambo i sessi, the al cardamomo servito ovunque assieme al caffè.
Le funzioni del matrimonio in Bahrain: nikah e mehndi
La cerimonia ufficiale di scambio dei voti si chiama nikah, ed è lo scambio delle promesse secondo il rito islamico. Fatima, la sposa, mi spiega che nel Golfo si svolge in privato, perché copre anche il cambio del cognome ed eventuali assegnazioni di terre e proprietà. Segue poi il mehndi, il rituale dell’henné, preso pari pari dalla tradizione indiana: di solito è riservato alle familiari e alle testimoni della sposa. Con il calore tipico della cultura araba, mi vengono aperte le porte di questo rituale tutto femminile. La futura sposa resta stesa su un divano per sei ore, mentre mani, braccia, piedi e gambe vengono decorati con motivi significativi per questa unione: geometrie indiane per ricordare le origini di entrambi, islamiche come omaggio ad Allah, le torri simbolo di Manama, la data del matrimonio intrecciata tra i motivi floreali, le iniziali degli sposi.
Ne approfitto per farmi raccontare di più su cosa intenda con matrimonio combinato. Fatima è seduta davanti a me, nel suo kurti smanicato e sollevato sopra alle ginocchia, a dirmi in perfetto inglese americano come abbia detto a suo padre che voleva sposarsi. Suo padre le ha chiesto che caratteristiche cercava in un marito:
“Volevo un marito che ascoltasse le mie opinioni e non decidesse di testa sua” mi dice Fatima “Io ho opinioni forti, e voglio qualcuno che le rispetti.”
Suo padre ha quindi parlato del desiderio di Fatima con i suoi amici e conoscenti. Uno di loro aveva un figlio poco più grande che voleva sposarsi anche lui: gli interessi personali e obiettivi familiari combaciavano con quelli di Fatima, incluso l’essere aperto a prendere decisioni con la moglie piuttosto che con la famiglia di origine. Vi sembra il minimo? Forse. Ma quante donne in Italia finiscono per lamentarsi dell’ingerenza della suocera? Forse inserire una domanda sul come si pensa di prendere decisioni dopo il matrimonio non e una cattiva idea. Mentalmente, inserisco Fatima nel mio Comitato di Consiglio sulle Relazioni Efficienti. E ha solo ventisei anni.
Per entrambe le famiglie, sembrava una buona idea far incontrare Fatima e quello che oggi e il suo promesso sposo. E così i numeri sono stati scambiati, i due giovani hanno ringraziato i rispettivi padri e si sono incontrati un pomeriggio in un caffè, per decidere se dare loro ragione o torto. Dopo due mesi di frequentazione. hanno deciso di dare loro ragione e hanno iniziato il percorso che, un anno dopo, li porterà a trasferirsi assieme nella loro nuova casa come marito e moglie.
Vi vedo, col naso sorto, il dito in alto, a dire che due mesi sono troppo pochi per dire se un matrimonio può funzionare o meno. Figurati se sono due mesi di caffè al bar, in cui sicuro non vedi chi recupera i calzini dal pavimento o chi non riesce a dormire con la luce. Pero vedo anche le centinaia di matrimoni che si sono sgretolati dopo fidanzamenti lunghissimi, convivenze preparatorie, vacanze in campeggio e accordi bilaterali sui calzini discussi con le amiche (di solito di lei) e la madre (di solito di lui). Stereotipi? Può darsi. Ma siamo sicuri che il sistema occidentale di legarsi a qualcuno prima di testarne l’impatto con la nostra sfera di influenza sia davvero migliore? Che dia più percentuali di successo?
E se le cose vanno male? Ne parliamo tra un po’. Ci aspettano ancora quattro cerimonie prima della fine del matrimonio!
La cerimonia della curcuma: haldi
Al mehndi seguono gli haldi, uno per famiglia, dove gli sposi sono cosparsi di una pasta di curcuma, spezia purificante il cui colore giallo simboleggia buon auspicio e felicità. E poi una notte di danze tradizionali, in cui comincio finalmente a vedere di che pasta sono fatti i matrimoni del golfo. E la risposta è: una pasta molto elegante. Alzo quindi bandiera bianca ai fratelli della sposa, che in un mattino caotico e giallastro mi introducono al cuore della Manama tradizionale: il souq, nascosto tra gli hotel a cinque stelle e quelli a due di cui una regalata, da dove esco con una jelabyia verde smeraldo e qualche speranza di non sfigurare completamente alla cerimonia successiva. Perché questa sera ci aspetta il baarat, il ricevimento organizzato dalla famiglia della sposa, dopo il quale Fatima andrà ad abitare ufficialmente nella casa del marito.
Il Baarat e il Waalima
Sono decine i momenti che ho fotografato nella mia mente della serata da dodici ore del Baarat. L’arrivo dello sposo a cavallo, con gli occhi coperti da un velo di fiori, assieme alla sua famiglia esultante. Il blocco sulla porta delle amiche della sposa, che mi riporta per qualche minuto nei Balcani. Le percussioni. L’arrivo di Fatima assieme a suo padre, in un saari rosso decorato in oro. Il rituale della scarpa rubata allo sposo. Le migliaia di foto e sorrisi che gli sposi dedicano a ognuno dei quattrocento invitati. La benedizione delle famiglie che marca la fine della cerimonia, quando la famiglia dello sposo prende in custodia la sposa. La dupatta posata dalla famiglia di suo marito sulla testa di Fatima, il velo di fiori questa volta sui suoi occhi. E i fratelli che l’accompagnano nella futura casa come ultimo gesto, per assicurarsi che sia tutto okay: mi invitano in macchina con loro in un momento di intimità inatteso, ci assicuriamo che l’ingresso degli sposi in casa si svolga senza intoppi e salutiamo Fatima, parte della sua nuova famiglia, che ora proseguirà i rituali per accoglierla.
La sera dopo ci attende il waalima, il ricevimento organizzato dalla famiglia dello sposo. Lui questa volta e in completo occidentale, lei ha un saari verde pastello raffinatissimo, e ha scelto per lui una cravatta in tinta. Opinioni forti rispettate dall’inizio. Infine, la coppia fa visita alla famiglia della sposa un paio di giorni dopo, e con questo pranzo più informale si conclude finalmente il matrimonio.
E se le cose vanno male? Il divorzio nella cultura islamica e del Golfo.
Il divorzio è ancora un argomento tabù nella cultura araba, pur essendo previsto dal Corano. Eppure, mi spiega Fatima, che è laureata in economia e lavora per una multinazionale tedesca, la percentuale di separazioni è molto più alta nelle coppie che si sono scelte senza intermediazione dei genitori.
“Secondo te perché?” Le chiedo.
“Perché noi abbiamo proprio dovuto pensarci, per decidere se dare ragione o no alle nostre famiglie. E questo matrimonio lo abbiamo proprio scelto dall’inizio, sapendo che avere una famiglia era l’obiettivo di entrambi. E ci è sembrato che potessimo farlo funzionare. Sai, prima di annunciare il fidanzamento abbiamo chiesto alle nostre famiglie di non interferire. Di non vedersi a cena, per un the, per parlare. Di non chiederci come andava, per non influenzarci. Loro ci hanno fatti incontrare, perché pensavano che ci saremmo piaciuti. Ma a decidere che volevamo sposarci siamo stati noi.”
“È un Tinder di famiglia” sintetizza sua sorella “Che se non altro ti da più garanzie sul fatto che le vostre culture famigliari siano compatibili”. Un algoritmo umano che allenato per secoli, di cui i giovani vedono ancora il vantaggio.
“Ma se avessi incontrato qualcuno che ti piaceva… avresti potuto presentarlo ai tuoi?”
“Certo. E a meno che non ci fossero problemi enormi, non mi avrebbero mai vietato di frequentare qualcuno.”
“Problemi tipo?”
“Se vedevano una grossa incompatibilità tra me e lui, a livello caratteriale o culturale o di obiettivi di vita.”
Ancora una volta, penso all’esperienza mia e dei miei amici, gettati nel frullatore delle dating app nelle città europee, passati da una serie di appuntamenti inconcludenti, dalle infatuazioni verso persone con obiettivi diversissimi. Sicuramente a parità di generazione siamo più spensierati nelle relazioni sessuali, ma siamo anche molto più confusi nelle relazioni sentimentali. Molto più concentrati sull’apparenza fisica e sociale che sulla compatibilità a lungo termine. Meno capaci di mettere distanza verso qualcuno a cui vogliamo bene, ma che non è la persona giusta per noi.
E se avessi chiesto ai miei genitori di combinarmi il matrimonio?
In tutto questo, ammiro la fiducia verso i genitori. Se avessi lasciato il mio matrimonio in mano ai miei, immagino sarei finita con un professore di lingue straniere, o massimo con un petroliere texano, per tenermi alla larga e aumentare il patrimonio.
Per curiosità, chiedo a mia madre dove avrebbe cercato qualcuno da presentarmi. Lei risponde che avrebbe cercato un polacco. Perché? Perché vedono la spiritualità cattolica in modo molto simile agli italiani, ma mi avrebbe dato il gusto di conoscere una cultura straniera. Forse ho sottovalutato la capacita dei miei genitori di leggermi, anche a distanza.
Mi chiedo se in fondo anche mia mamma non meriti un posto nel mio Comitato di Consiglio sulle Relazioni Efficienti, dal quale è stata esclusa a priori in quanto madre, in quanto nata e cresciuta nella stessa città, in quanto persona che, con i miei partner di adulta, ha sempre potuto comunicare in maniera limitata. Per pregiudizio, insomma. Lo stesso che cerco di combattere raccontando la verità dietro a un matrimonio combinato in Medio Oriente.
Di grazie a Fatima ne devo due: uno, per avermi fatta entrare nel backstage del suo matrimonio, rivelandomi un aspetto intimo, che solo la famiglia stretta percepisce, trattandomi a tutti gli effetti come una sorella. E un altro per avermi ricordato che per quanto progressiste, anche le mie lenti ogni tanto vanno messe da parte per guardare il mondo da un’altra prospettiva.
Elisa, Inghilterra
Che bello questo scorcio su un matrimonio così “misterioso “ per noi occidentali. Se devo essere sincera quando ero giovane e single ho sempre scherzato sul fatto che sarebbe stato davvero un sollievo avere la famiglia che combinava un matrimonio perché la vita da single è veramente stancante e da un punto di vista di relazioni sentimentali spesso inconcludente! Non credo proprio che per me avrebbe funzionato il matrimonio combinato ma è sicuramente una sfida più ardua per noi occidentali incontrare la persona con cui decidere di condividere la vita. Comunque anche gli ebrei ortodossi si incontrano tramite le famiglie e in passato avveniva anche da noi ma in maniera più blanda. Comunque deve essere stata una bella esperienza partecipare a questo evento.
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